Napoli: Inediti in collezioni private Cominciamo la nostra carrellata con Una Strage degli innocenti (fig.01) di Cavallino di notevole qualità da porre in rapporto con quella (fig.01b) già a Londra, presso Sotheby’s nel 1973, di cui costituisce una versione di formato più piccolo. Del Cavallino si conosce un’altra interpretazione del tema della Strage degli Innocenti:quella (fig.01c) a Milano, nella pinacoteca di Brera, datata intorno al 1640; Il dipinto in esame presenta varianti rispetto alla versione già presso Sotheby’s: le architetture di sfondo sembrano tagliate all’altezza dei capitelli, e dunque manca la modanatura posta al disopra che si osserva nel dipinto qui in discussione, inoltre manca la figura di infante a terra sulla parte destra del quadro londinese, che presenta una fattura apparentemente più accurata di dettagli come la figura di madre al centro e quelle dei due aguzzini in piedi; per contro, alcune parti del dipinto in esame appaiono eseguite con più abilità.
È perciò probabile che esso sia stato impostato da Bernardo Cavallino e che sia stato in parte terminato da aiuti, a riprova di una inclinazione del pittore a replicare composizioni di evidente successo. Tale ipotesi è rafforzata da riscontri su opere della fase avanzata del suo breve percorso. La figura di madre disperata al centro del dipinto nasce dal disegno della Vergine nella ‘Adorazione dei pastori’ di Cavallino a Cleveland, presso il Museum of Art. Del dipinto di Cleveland, siglato, esiste una versione in formato ovale e di dimensioni minori, già a Trieste, nel 1943, presso la Galleria d’Arte del Corso. Sembra dunque che alla fine della sua carriera Cavallino abbia raggiunto un successo più ampio di quanto si pensasse fino a poco tempo fa; un successo sfociato in repliche delle sue opere più richieste. Il presente dipinto potrebbe appartenere alla fase estrema del pittore, la cui morte all’età di soli quarant’anni sarà stata una delle cause dell’esistenza di sue opere non finite che, come quella in esame, è priva dell’automatismo delle copie e per contro mostra brani di notevole impatto visivo. Proseguiamo esaminando un San Giovanni Battista (fig.02) di Cesare Fracanzano, conservata a Prato nella collezione di Daniele Storai. Il pittore, nato nel 1605 a Bisceglie, comincia a dipingere suggestionato dall’ambiente tardo manieristico pugliese come dimostrano i teloni dell’Episcopio di Barletta ed anche giunto a Napoli del naturalismo avrà una visione superficiale ed accademica. I suoi primi dipinti sono il San Giovanni Battista del museo di Capodimonte e le due splendide tele conservate nella quadreria del Pio Monte: Pietà e Guarigione di un indemoniato. Attratto poi dalle suggestioni pittoricistiche legate alle correnti vandychiane si allontana dal luminismo ed esegue opere come il San Michele Arcangelo nella Certosa di San Martino ed il Cristo confortato dagli angeli conservato nella quadreria dei Gerolamini. Si dedicherà anche alla decorazione imitando i modi lanfranchiani e realizza un ciclo nel coro della chiesa della Sapienza nel 1940 ed uno nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Conversano. Aderisce poi ai modelli classicistici desunti dal Reni e giunge ad una maniera delicata con una tavolozza calda e luminosa, come si evince nella tela, firmata, dei Due lottatori conservata al Prado. Nell’ultima fase della sua attività tornerà in Puglia, intensificando sempre più gli aspetti pittoricistici ed applicando moduli accademici di derivazione stanzionesca in commissioni a carattere devozionale stancamente ripetute. Il San Giovanni Battista appartiene senza dubbio alla fase classicistica per la cromia dolce e per la definizione delicata della parte anatomica. Tali accostamenti ben si esprimono nei colori spessi e grumosi e nella palpabile materialità del vello dell’agnello, mentre il fondale scuro sul quale lampeggia il panno che ricopre il santo è un chiaro richiamo alle tematiche riberiane. L’impasto cromatico del corpo possiede una calda luminosità ed un tenero colorismo, che fa presagire l’adesione alla lezione di Van Dyck intorno al 1635. Nel dipinto possiamo cogliere le tre anime di Cesare: un repertorio accademico solido basato su figure convenzionali rese con rigore formale, un aggiornamento dello stile giovanile sulla lezione del naturalismo ed un’adesione ai dettami di piena luminosità dei seguaci vandychiani. La S. Maria Egiziaca adorante il Crocifisso (fig.03) costituisce un’importante aggiunta alla fase maltese del catalogo di Mattia Preti. Nel 1661 non reggendo la rivalità con Luca Giordano, l'artista si trasferì nella “piccola isola dalla grande storia”, chiamato dal Gran maestro dell'ordine di Malta Raphael Cotoner. Lì realizzò buona parte della decorazione della Cocattedrale di San Giovanni a La Valletta e la Conversione di San Paolo, nella vecchia Cattedrale di San Paolo a Medina per conto dei Cavalieri Ospitalieri ed altre opere per le varie chiese maltesi. Egli , spesso aiutato dalla bottega, a Malta realizzò oltre 400 dipinti. La santa nel dipinto viene raffigurata, come sempre nuda e con un braccio in primo piano da far invidia ad un culturista. Il volto, molto dolce, sembra voler implorare al crocifisso perdono per la sua vita dedita per lunghi anni alla lussuria, infatti, nata nel 344 ad Alessandria d’Egitto, fuggì dalla propria casa all'età di dodici anni abbandonandosi ad una vita dissoluta e guadagnandosi da vivere elemosinando e facendo la prostituta. Sentitasi quindi chiamata dall’Alto, presso il fiume Giordano, pentitasi della propria esistenza dissoluta, si immerse nelle sue acque per purificarsi ed in seguito visse come eremita. Il suo errare solitario durò quarantasette anni, durante i quali si nutrì solo con l'erba che trovava sul suo cammino. Zosimo, monaco palestinese, la incontrò durante un pellegrinaggio e trovò innanzi a sé una donna molto magra, nuda e con lunghi capelli bianchi come la lana. Acconsentendo a parlare con il monaco dopo essersi fatta consegnare da lui un mantello per coprirsi, Maria raccontò a Zosimo le circostanze che l'avevano portata a quel lungo pellegrinaggio e, per la seconda volta dall'arrivo in Palestina, ricevette l'Eucaristia. Zosimo lasciò Maria promettendo di tornare a trovarla nello stesso luogo l'anno successivo. Il monaco tornò, come aveva promesso, trovando la santa morta, con addosso lo stesso mantello che le aveva donato l'anno precedente. Leggenda vuole che la sua tomba fu scavata da un leone con i suoi artigli. L’Adorazione dei pastori (fig.04) è facilmente assegnata a Giuseppe Marullo perché presenta due caratteri patognomonici del suo stile: il cono d’ombra sul volto della Madonna e la coppia di angioletti nella parte alta della composizione. Da tempo non commento quadri di Carlo Coppola, un autore a me caro ed a cui ho dedicato una monografia. Per rifarmi ne propongo tre , dopo cenni biografici sul pittore. Artista ancora poco conosciuto nell’ampio panorama figurativo napoletano attivo intorno alla metà del secolo XVII, Carlo Coppola fa parte della variegata bottega di Aniello Falcone, nella quale occupava certamente una posizione di rilievo ed era benvoluto da tutti, come si evince dalle parole del De Dominici, che dell’artista ci tramanda poche notizie a margine delle pagine dedicate al celebre maestro. Oltre che notevole battaglista, egli fu abile anche nelle scene di martirio ed in quadri storici e di vedute. Impregnato della cultura tardo manierista di Belisario Corenzio, ebbe due sfere di attrazione: il Falcone ed il Gargiulo. Dal primo prende ispirazione per i quadri di battaglia e gli esempi del suo maestro sono utilizzati come repertorio di immagini stereotipate, rese con toni caldi e colori scuri, mentre nei martiri e nei quadri storici le soluzioni di maggiore libertà pittorica e chiaroscurale, prelevate da Micco, sono molto marcate. Ritorniamo alle parole del De Dominici: “ Fece assai bene di battaglie, e tanto che molte volte le opere sue si cambiano con quelle dello stesso Maestro, ma tanto i soldati, quanto i cavalli del Coppola hanno una certa pienezza più di quelli del Falcone, e massimamente le groppe de’ cavalli sono assai rotonde, il che a cavalli da guerra non molto conviene”. Come sempre il celebre biografo riesce acutamente a definire lo stile di un autore ed a mettere in risalto un aspetto importante della sua attività, che ha contribuito a confondere parte della sua produzione migliore con l’opera del maestro. Infatti, nonostante l’abitudine di siglare le sue opere, la disonestà dei mercanti, abili col raschietto, ha spesso, non solo ai tempi del De Dominici, fatto passare per Falcone battaglie del Nostro, mentre più di una scena di paese, viene assegnata dalla critica al Gargiulo, compagno di bottega, che negli ultimi anni ha incontrato, grazie ad un’esaustiva monografia e ad una mostra molto curata, un cospicuo successo commerciale. Un modo per riconoscere il pennello del Coppola nei dipinti non firmati è quello di osservare attentamente le terga e la coda dei suoi cavalli, presenti non solo nelle battaglie, ma anche nelle scene di martirio. Le prime sono sempre imponenti, poderose e di evidenza scultorea, mentre la coda è costantemente vaporosa e ricchissima di crini, che arrivano fino a terra. Un dettaglio che, per la sua originalità, costituisce una sorta di sigla nascosta e che possiamo osservare nel Martirio di Sant’Andrea, di collezione romana, nella Lapidazione di Santo Stefano, passata nel 1994 sul mercato antiquariale, nella Crocefissione di San Pietro (fig.07c), in asta presso Semenzato, Milano 1991, nei Cavalieri con armatura a cavallo (fig.07b), passato come De Lione in un’asta Semenzato del 2003. I suoi cavalieri indossano elmi piumati ed i destrieri si stagliano imponenti in primo piano, mentre sullo sfondo la scena del combattimento è dominata da castelli turriti e paesaggi collinari. Un dipinto dall’originale iconografia è San Pietro ed il pesce o Il Pagamento del tributo (fig.06), siglato”CC”, già a L’Aja nella collezione di Vitale Bloch, reso noto dal Causa nel 1972, quando il Coppola era quasi sconosciuto ed oggi ricomparso in un’asta della Blindarte. Una composizione a figure grandi nella quale risalta la lucentezza metallica degli elmi dei soldati, un dettaglio presente in molti quadri di battaglia. Sullo sfondo uno scorcio di paesaggio tra Spadaro e Di Lione. L’episodio descritto è collegabile alla pesca miracolosa narrata da Giovanni (21, 1- 19) ed è alquanto raro in pittura. Anche il Martirio di San Paolo (fig.05), siglato “CC” è stato esitato presso la Blindarte e mostra una figura in primo piano presente in altri dipinti del Coppola la già citata Crocefissione di San Pietro (fig.07). Infine Un’attesa della battaglia (fig.07), tempo fa sottoposta alla mia attenzione da un collezionista sicuro di possedere un Falcone, che viceversa può essere attribuito con certezza al Nostro, grazie alla particolare definizione della coda di cui abbiamo parlato in precedenza. Il dipinto La nascita del corallo (fig.08), già nella collezione di Valentino Cencelli, lo segnaliamo principalmente perché alcuni anni fa è stato rubato e speriamo che qualche lettore possa agevolarne il recupero. La Fanciulla pensosa (fig.09) di Niccolò De Simone costituisce un’importante aggiunta al catalogo dell’artista e fa parte di quelle piccole telette a mezzo busto di donne, molte ancora da identificare ed attribuire con precisione, in cui palese è il modulo di riferimento a Vaccaro, Stanzione e Cavallino; tra le quali particolarmente importante una S. Caterina d’Alessandria nei depositi di Capodimonti, siglata NDS, che ha permesso di raggruppare sotto il suo nome altri dipinti simili. Nel quadro in esame molte sono le similitudini col Vaccaro, dal seno prosperoso generosamente offerto all’osservatore agli occhi languidi volti a guardare verso l’alto, ma un altro dettaglio importante è costituito dall’elegante definizione delle maniche e della camicetta che richiamano la lezione di Artemisia Gentileschi. Una veste raffinata che contraddistingue anche la S. Caterina (fig.10) di collezione Locatelli, eseguita da Onofrio Palumbo, l’unico seguace e collaboratore napoletano della pittrice, nella capitale vicereale dal 1627 fino alla morte. La stessa modella compare sulla destra di una inedita Piet (fig.10b)nella quale i due artisti lavorano assieme. E concludiamo proponendo un importante inedito della stessa Artemisia Gentileschi, una Suonatrice (fig.11) dallo sguardo languido e dalla manica magistrale di una celebre collezione parigina. Achille della Ragione
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