Napoli: Il Sud affonda si salvi chi può
In occasione del 150° anniversario dell'unità nazionale (2011), è apparsa una certa pubblicistica che tendeva a dare una lettura degli eventi in chiave «sudista». Il Risorgimento cioè visto come invasione dei piemontesi in un Mezzogiorno prospero e felice nell'incanto dei suoi incontaminati paesaggi. L'unità nazionale, per conseguenza, come causa principale dell'attuale condizione di grave disagio di quella parte della penisola. Oltre ai testi famosi di Gigi Di Fiore e di Pino Aprile, un bel libro è stato Borbonia Felix di Renata De Lorenzo, misurato ed obiettivo.
Il titolo ha un significato antifrastico poiché nel ricostruire «il Regno delle Due Sicilie alla vigilia del crollo», l'autrice prescinde da ogni mitografia per descrivere le reali condizioni del Mezzogiorno d'Italia negli ultimi anni della dinastia borbonica. L'autrice non sottovaluta gli elementi positivi e di sviluppo che si ebbero per esempio sotto il regno di Ferdinando II che resse il trono per quasi trent'anni a partire dal 1830. Tra questi, la ferrovia Napoli-Portici una delle prime in Italia, le opere di bonifica, l'attenzione alla manifattura, l'introduzione di alcuni principi igienici, il tentativo di elevare l'istruzione anche femminile. Tutti elementi positivi che rimasero però isolati o affidati alle comunità locali e destinati quindi al fallimento. Inoltre gravò sullo Stato il devastante fenomeno del brigantaggio e il ribellismo isolazionista della Sicilia che spiega l'accoglienza poco meno che trionfale poi riservata nel 1860 a Garibaldi e ai suoi Mille. A questo vanno aggiunte le insufficienze propriamente politiche cioè l'incapacità di capire il mutamento in corso e di guidarlo saggiamente; cosa che invece riuscì assai meglio al conte Cavour all'altra estremità della penisola. Dopo questa ventata di rivisitazione storiografica, che ha visto l’apertura di riviste e siti on line neoborbonici come un fulmine ha fatto il suo trionfale ingresso in libreria la ciceroniana requisitoria di Stella e Rizzo. Il nuovo libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo è l'articolato, inappuntabile, appassionato racconto di un suicidio, Se muore il Sud, ovvero la storia di come un terzo circa della penisola si sia testardamente votato alla catastrofe. Si potrebbe obiettare che la storia dell'agonia del Mezzogiorno è così lunga da pensare che il malato continuerà a sopravvivere per un tempo indefinito ai suoi acciacchi. Le condizioni disastrose del paese, da Napoli in giù, sono state descritte, con venature razzistiche, fin dai primi rapporti spediti alle autorità sabaude subito dopo il 1861, poi venne Matilde Serao con Il ventre di Napoli, vennero le allucinate descrizioni di Curzio Malaparte nel suo La Pelle, Anna Maria Ortese con lo straziante Il mare non bagna Napoli, il terribile atto d'accusa di Giorgio Bocca ne L'Inferno. Sono alcuni titoli di una bibliografia infinita dove anno dopo anno sono state ripetute in varia forma le stesse analisi, quelle che Benedetto Croce, riprendendo un'antica formula sintetizzò nell'espressione tremenda «Un paradiso abitato da diavoli». Stella e Rizzo sono meno fantasiosi di Malaparte ma molto più precisi. Come già nel precedente La Casta i due autori basano la loro requisitoria (di questo si tratta) su dati di cronaca, di costume, statistici. Nonostante i fiumi di denaro che vi sono stati pompati, il Sud invece di crescere è arretrato (al netto della crisi); molti di quei denari sono stati gettati al vento, spesi per impinguare camarille politiche, non di rado il malaffare. La Calabria ricava 27 mila euro all'anno da tutti i suoi beni culturali, le sue coste, che s'affacciavano su un mare all'altezza se non migliore di quello greco, sono state sfigurate da una speculazione idiota prima che irresponsabile. Di fronte alle ripetute denuncie è insorto il campanilismo meridionale (che gli autori definiscono «negazionismo») con l'eurodeputato Clemente Mastella che s'è lagnato dei controlli dell'Inps arrivando a dire che finti ciechi e finti zoppi rappresentavano «un ammortizzatore sociale». Gli esempi sono infiniti, alcuni sarebbero gustosi se non fossero tragici. C'è anche qualche esempio contrario, il successo di iniziative dove l'intelligenza vivida, la brillante inventiva di alcuni giovani è riuscita a «fare sistema» con risultati entusiasmanti. L’"arma assoluta" che Stella e Rizzo usano come un bisturi, scavando nel corpo corrotto del Paese, è l’arida eloquenza dei numeri. Due meccanismi solo in apparenza opposti sono all’opera: da un lato le mafie del Sud si sono insediate in tutto il Paese e oltre, utilizzando le enormi liquidità ricavate da attività illegali per impadronirsi di banche e imprese controllando politica e finanza. Dall’altro, la persistente desolazione economica giustifica i fondi europei che si riversano in quelle sfortunate Regioni con Sperpero immenso e risultati zero (questo il titolo di un capitolo del libro). La più gran parte delle popolazioni meridionali, e meriterebbe aiuti dall’Europa, non fosse che quanto arriva è in balia dei soliti noti. Intanto, le imprese del Nord che hanno in pugno «i grandi appalti, le grandi linee di sviluppo» sono colonizzate dalle mafie. Si è voluta attirare l'attenzione dell'opinione pubblica nazionale sulle difficili condizioni del Mezzogiorno, denunciarvi con grande rigore documentario molti sprechi di risorse che vi si realizzano, ma si ritiene possibile anche un suo rilancio, da perseguirsi con un profondo, radicale rinnovamento delle sue classi dirigenti che scongiuri il tracollo definitivo del Sud, prima che sia troppo tardi per tentarne un recupero. Anche perché non mancano gli esempi positivi di chi resiste sul piano industriale nelle regioni meridionali e riesce ad esservi competitivo e dinamico: in una parola, esiste un Meridione moderno e qualificato. Ora però, se lo spirito animatore del volume Rizzo e Stella è apprezzabile, non ci sembra tuttavia che il punto di partenza della loro analisi colga per intero tutte le modernità e i moltissimi punti di dinamismo diffusamente presenti nel Sud. Le esperienze citate nel volume sembrano più delle lodevoli eccezioni che non invece sezioni specifiche di un tessuto produttivo che è molto avanzato in diverse aree meridionali. E così, al di là delle intenzioni degli autori, il risultato politico che potrebbe sortire dal libro rischia di essere esattamente opposto a quello auspicato: continuare infatti a enfatizzare solo gli squilibri macroeconomici e le emergenze sociali delle regioni meridionali - che nessuno può e vuole negare, ovviamente - potrebbe occultare i tanti punti di forza del loro sistema di produzione industriale, agricola e nel terziario avanzato che sono risorse preziose per l'intero Paese. In tal modo non si rischierebbe di spingere Ue e governo Italiano a ridurre drasticamente le risorse per la politica di coesione o ad accentrarla in vari ministeri? Fondi comunitari che, peraltro, bisogna saper spendere presto e bene e in alcune regioni del Sud in modi radicalmente diversi dal passato, ben sapendo però che ciò vale anche per gli stessi ministeri che non hanno sinora brillato per efficienza e tempestività nell'impiego dei fondi 2007-2013. In un momento in cui è tutta l'Italia che dovrebbe accelerare sulla strada della crescita - pur in presenza dei vincoli delle norme comunitarie - è proprio il Meridione, invece, a presentarsi come una convenienza per investitori italiani ed esteri, sia per la sua vasta dotazione di risorse naturali - petrolio, gas, vento, posizione geografica - sia per la rilevanza del suo apparato industriale - nel cui ambito è possibile costruire o irrobustire nuove filiere molto ramificate di attività di trasformazione - e sia infine per la quantità di risorse comunitarie, derivanti ancora dal precedente ciclo di programmazione 2007-13, e da quello ormai prossimo, in avvio dal 2014 e vigente sino al 2020. Il Mezzogiorno dunque non è un costo per la collettività nazionale, ma ne costituisce una risorsa strategica. Ricordiamo alcune delle leve forti per la crescita dell'intero Paese presenti nel Sud? Pozzi petroliferi fra i più produttivi on shore d'Europa e altre cospicue riserve ormai accertate in Basilicata, ove Eni ed Erg stanno investendo circa 4 miliardi di euro per potenziarne o avviarne l'estrazione nelle rispettive concessioni; primati industriali assoluti a livello nazionale nella produzione di laminati piani grazie all'Ilva di Taranto, di piombo e zinco prodotti dalla Portovesme nel Sulcis; di etilene grazie ai 3 steam cracker della Versalis dell'Eni; di auto e veicoli commerciali leggeri prodotti dalla Fiat a Pomigliano d'Arco, Melfi (PZ) e Atessa (CH); di energia da fonte eolica, di conserve di ortofrutta, di paste alimentari, di grani macinati e di prodotti raffinati grazie alle sei grandi raffinerie di Sicilia, Sardegna e Puglia. Ma l'industria meridionale concorre con quote significative anche a produzioni nazionali di energia da combustibili fossili e dal fotovoltaico, aeromobili, Ict, cemento, materiale rotabile, farmaceutica, costruzioni navali, altre sezioni dell'industria alimentare. Quanti sanno poi che il valore aggiunto manifatturiero nell'Italia meridionale è stato nel 2010 superiore a quello di Finlandia, Romania, Danimarca, Portogallo, Grecia, Croazia, Slovenia, Bulgaria? Insomma, senza sottovalutare i gravi fenomeni sociali esistenti nel Sud e l'indebolimento di taluni segmenti del suo apparato produttivo, è opportuno sottolineare che la sezione più rilevante della manifattura meridionale è ben lontana dalla raffigurazione di un ormai prossimo deserto industriale. Al contrario, il Sud è una grande piattaforma del Paese ove sarebbe possibile localizzare nuovi investimenti, partendo proprio dalle qualificate risorse umane e materiali esistenti e dagli incentivi a disposizione delle Regioni. Inoltre, se partissero o si accelerassero tutti gli investimenti previsti nel Meridione in diversi settori - vincendo anche in alcuni casi le resistenze di settori estremistici dell'ambientalismo locale - il tasso di crescita dell'economia meridionale sarebbe elevato e contribuirebbe ad innalzare quello dell'Italia. Ma anche l'occupazione avrebbe un deciso balzo in avanti. Nel frattempo le mafie, le caste, la politica si alleano per spolpare la carcassa di un Sud lontanissimo da ogni riscatto; l’osceno sistema elettorale che la Consulta ha ora messo al bando ha aggravato il feroce clientelismo dei partiti, concentrandolo nelle poche mani di chi gestisce le liste bloccate dei fedelissimi. Secondo la favola, lo scorpione propose alla rana di traversare insieme il fiume, e la rana accettò perché lo scorpione non sa nuotare, e non l’avrebbe certo punta durante la traversata. Ma a metà del fiume, lo scorpione la punse a morte, e prima che tutti e due annegassero la rana fece in tempo a domandare: «perché l’hai fatto?», e lo scorpione rispose «è nella mia natura». Due versioni si contrappongono, in questa Italia una ma non unita. Secondo la prima, dopo il 1860, l’inerme Sud è stato spremuto dagli invasori del Nord, che ne hanno ingerito le risorse. L’altra versione, su cui insiste questo libro, mette a fuoco le terribili responsabilità del Sud. La verità è che il peggio del Sud e il peggio del Nord sono alleati in un solo saccheggio. Non si sa chi sia lo scorpione e chi la rana, in questa storia. Ma la morale della favola è comunque la stessa: affogheranno insieme. Per cui i leghisti ed altri beceri razzisti della loro risma non si facciano illusioni, se il Sud affonda non sarà solo, un gorgo poderoso trascinerà sul fondo tutto e tutti e nessuno si salverà. Achille della Ragione
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