Napoli: La città dai tanti castelli
A partire dal 1150. quando Guglielmo il Malo, figlio di Ruggiero il Normanno ordina la costruzione di Castel Capuano, sotto tutte le dinastie i castelli napoletani hanno assunto nel corso dei secoli la fisionomia di un organico sistema di difesa, aggiuntivo rispetto a quello delle mura cittadine, che nel tempo fu gradualmente perfezionato, costituendo un sistema architettonico che caratterizza in modo peculiare il territorio urbano. Del Maschio Angioino e di Castel Capuano abbiamo parlato in altri capitoli, per cui cominceremo la mostra descrizione la nostra descrizione dal 1329, quando Roberto D’Angiò dà ordine di iniziare i lavori per la costruzione di Castel dell’Ovo agli architetti Fuccio e Primario. La fortificazione si trova sull’ isolotto di Megaride, lì dove secondo una leggenda si adagiò il corpo inerte della sirena Partenope, dando luogo all’origine di Napoli.
Qui nel VI secolo A.C. sbarcarono i Cumani, i quali fondarono il primo nucleo della città, secoli dopo Lucullo, di ritorno dall’Asia con immense ricchezze si costruì una dimora sfarzosa dove si svolgevano pranzi con decine di portate, il secolo successivo si insediarono dei monaci Cenobiti costruendovi un monastero, poi inglobato nell’ordine Benedettino, ricco di libri antichi ed infine si rifugiò Santa Patrizia per sottrarsi alle voglie di uno Zio degenere. La località ha per lungo tempo rivestito il ruolo di prigione, a partire dal 476 D.C., quando Odoacre vi rinchiuse l’ultimo Imperatore d’Occidente Romolo Augustolo. altri “ospiti” eccellenti furono Tommaso Campanella e numerosi Giacobini, carbonari e liberali, tra cui Francesco De Sanctis. Fu teatro di numerosi episodi bellici, dalla lunga lotta tra Aragonesi ed Angioini, agli scontri tra sostenitori della Repubblica Partenopea del 1799 e le truppe sanfediste, al confronto tra flotte britanniche e francesi nel 1809 e di nuovo nel 1838, quando le navi di Sua maestà si avvicinarono per minacciare Ferdinando II, il quale non si fece intimidire, ordinando alle batterie di cannoni di tenersi pronte. Alfonso D’Aragona lo preferì sempre al Maschio Angioino e si trasferì con la sua corte per godere la vista del mare. Lo sottopose a radicali trasformazioni, completate dai Borbone, che gli conferirono una struttura dignitosa, tale da permettere in tempi moderni, in occasione del G7 del 1994, di ospitare i capi di stato più potenti della terra in una cornice di assoluto prestigio. Oggi, entrando nel maniero, si ha netta la sensazione di aver attraversato una soglia simbolica: fuori la città con il traffico caotico e i rumori assordanti delle auto, dentro un percorso nel passato, dal Medioevo al Rinascimento, fino a raggiungere l’ultimo terrazzo, che si affaccia su un superbo panorama, dal Vesuvio alle acque del golfo. una visita a parte merita anche il contiguo Borgo Marinaro con i celebri ristoranti “Zi Teresa” e “La Bersagliera” e l’affacciata di storici circoli nautici: Rari Nantes e Italia. Chiudiamo spiegando il perché di un nome così originale. Una legenda attribuiva al sommo poeta Virgilio qualità di mago e riteneva che egli avesse custodito tra le mura del castello un uovo dotato del potere di proteggere la città dalle calamità, una credenza tale che, quando nel 1370 si sparse la voce che l’uovo fosse andato in frantumi, la Regina Giovanna D’Angiò, fu costretta a dichiarare solennemente che era stato sostituito da un altro in possesso delle stesse qualità propiziatorie. Una favola a cui ha creduto a lungo un popolo dall’intelligenza acuta, ma poco disposto ad accettare pienamente le regole della razionalità, una caratteristica peculiare della napoletanità, che persiste immutata anche nel duemila. Nel 1329 Roberto D’Angiò oltre al Castel dell’Ovo fa iniziare anche la costruzione di Castel Sant’Elmo, dando l’incarico agli architetti Francesco di Vito e Tito da Camaino, la cui opera, dopo la morte, fu continuata da Attanasio Primario. Sulla collina di San Martino esisteva già un fortilizio chiamato prima Belforte e poi S. Erasmo. La posizione del castello rivestiva notevole importanza strategica, perché permetteva di tenere sotto controllo tutte le strade di accesso e la città sotto il tiro dei cannoni. Tutto attorno era circondata da una rigogliosa vegetazione ed all’interno ospitava un cospicua guarnigione di soldati. Nel 1348, appena completato il castello dovette sostenere il primo assedio da parte di Ludovico, Re di Ungheria; per fortuna della città fu messo in fuga da una delle frequenti epidemie di peste che lo indussero a tornare a casa. Dopo altri episodi bellici la fortezza angioina venne venduta ad un nobile: Ciarletto Caracciolo per 2500 ducati, il quale organizzava allegri banchetti e feste principesche, una tradizione seguita dagli Aragonesi. Tornò alla funzione militare molti anni dopo, con l’arrivo in città del Re di Francia Carlo VIII, che avanzava pretese sul regno di Napoli e riuscì ad occupare i 4 castelli. Nel Cinquecento gli Spagnoli rifecero totalmente il castello, trasformandolo in un possente prototipo di architettura militare, con una pianta stellare con sei punti, oltre ad ampi cortili e sotterranei, una chiesa ed una gigantesca cisterna in grado di assicurare una lunga autonomia idrica. Dopo il 1799 le prigioni del castello ospitarono una folta rappresentanza di repubblicani, da Mario Pagano a Domenico Cirillo, da Gennaro Serra di Cassano a Francesco Pignatelli di Strogoli. Per molti fu solo l’anteprima del patibolo. Più fortunati furono i detenuti del periodo risorgimentale come Pietro Colletta, Mariano D’Ayala, Carlo Poerio e Silvio Spaventa che vennero graziati. Un breve cenno va fatto per una delle poche detenute, ospiti del castello: Luigia San Felice, la quale, dopo il casino provocato durante la Repubblica Partenopea, quando aveva due amanti, uno monarchico ed uno repubblicano, ai quali, nella foga dell’amplesso, faceva imbarazzanti confidenze ed una volta condannata a morte, riuscì a rinviare a lungo l’esecuzione, fingendosi incinta con falsi certificati stilati da Domenico Cirillo. Dopo lunghi anni in cui il Castello è stato demanio militare oggi è possibile visitarlo ed oltre allo spettacolare panorama è consigliabile soffermarsi sulla piccola chiesa di Sant Erasmo, dove si può ammirare un pregevole pavimento in maiolica e cotto, eseguito con tecnica squisitamente napoletana. Come pure una osta merita la Biblioteca Molajoli, specializzata in storia dell’arte, una delle più importanti d’Italia. Nel 1382 Carlo di Durazzo ordinò la costruzione del Castello del Carmine, detto lo Sperone, per la singolare forma architettonica, del quale rimangono pochi resti. Esso venne costruito per la necessità di fornire un baluardo difensivo ad oriente, dove la città era completamente sguarnita ed ebbe solo una finalità militare, privo di qualsiasi elemento decorativo e di lusso. Attualmente una parte del nucleo centrale risulta incorporato in un edificio militare, mentre due torri in via Marina sono in balia del traffico ed alla furia vandalica dei Writers, insieme alla splendida Porta del Carmine. Poche parole merita il Forte di Vigliena, di cui oggi è possibile individuare qualche traccia inglobata in edifici moderni. Si è incerti sulla data di edificazione e se si trattava di un complesso militare di una certa consistenza o di un semplice avamposto difensivo, posto ad oriente della città in una zona corrispondente all’attuale quartiere di San Giovanni a Teduccio. Conosciamo la data della sua distruzione nel 1799 da parte delle truppe sanfediste, quando una esplosione devastò l’intera struttura, a seguito di un colpo che diede fuoco accidentalmente alla santabarbara o per un disperato suicidio dei Repubblicani, che, pur di non consegnarsi al nemico, preferirono far saltare tutta la struttura. Tra i numerosi castelli della provincia ne ricorderemo soltanto due, partendo da quello di Baia, posto in una località prediletta dal patriziato romano per le sue bellezze naturali; infatti qui sorsero le ville di Cesare, Pompeo, Mario e Cicerone. Il castello venne costruito da Don Pedro di Toledo intorno alla metà del XVI secolo per creare un baluardo alle frequenti incursioni piratesche dei saraceni. Nel 1734 fu oggetto di contesa tra i Borbone e le truppe Austriache, da cui uscì completamente distrutto. Recuperato da Carlo di Borbone. Durante la Repubblica Partenopea resistette all’attacco della flotta Inglese che cercava di occuparlo. Nel 1887 passò sotto l’amministrazione dello Stato, per divenire poi un orfanotrofio militare. Oggi restituito alla pubblica fruizione, è visitabile ed è molto interessante ammirare i numerosi reperti che vengono continuamente alla luce dal vicino parco archeologico sottomarino. Concludiamo con il Castello Aragonese, invitando il lettore che volesse avere più notizie su questa celebre fortezza, ricca di aneddoti, a consultare il mio libro: “Ischia sacra, guida alle chiese” (pag.36-46). Il visitatore che giunge ad Ischia viene ricevuto dalla mole maestosa del Castello Aragonese, una struttura, secondo la leggenda edificata da Gerone, il tirano di Siracusa, dopo aver sconfitto i Cumani, che dominavano l’isola, ampliato poi dagli Angioini e che sotto gli Aragonesi assunse la fisonomia attuale. Spesso, durante le incursioni saracene, tutta la popolazione dedita all’agricoltura nelle zone circostanti, circa 1800 famiglie, trovava rifugio tra le mura del fortilizio, protetto da robusti bastioni e collegato da un ponte alla terraferma. Oggi costituisce per i forestieri una delle maggiori attrazioni, grazie anche ad un ascensore scavato nella roccia, che permette un percorso in discesa, vivendo un flash back nel passato, dopo aver goduto, dal punto più alto dei terrazzi, ad uno spettacolo unico con un panorama che va dal Vesuvio alle isole del golfo. Il castello ha ospitato uomini e donne illustri, tra le quali la bellissima Vittoria Colonna, in grado di far invaghire perfino il sommo Michelangelo, che, nonostante le sue dubbie inclinazioni sessuali, le scriveva lettere infocate e prese dimora, di fronte all’isolotto in una torre, oggi nota con il suo nome. Un altro unicum è costituito dal cimitero delle monache con i così detti scolatoi, da cui il detto napoletano “puozza sculà”, dove le religiose defunte venivano poste a liberarsi dei liquidi corporei. Fino a raggiungere una sorta di imbalsamazione naturale. Ed ogni giorno, più volte , le consorelle dovevano visitarle e meditare sulla caducità della vita umana. Alla fine della passeggiata in discesa tra sentieri medioevali, si può curiosare in un museo di cinture di castità, che ne conserva di varie fogge e dimensioni. Achille della Ragione
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