Napoli: Giorgio Garri un artista da conoscere
Nella schiera degli specialisti minori impegnati a Napoli nel settore della natura morta va collocato Giorgio Garri (Napoli? – 1731), del quale la più antica testimonianza ci è fornita dal De Dominici, che lo segnala nella bottega di Nicola Casissa, per quanto fosse suo coetaneo. Il biografo tiene a sottolineare l’abilità dell’artista nel dipingere fiori e frutta, imitando lo stile non solo del suo maestro, ma anche del sommo Belvedere e ci racconta che egli lavorava con studio e con amore, morendo nel 1731 dopo aver perso la vista.
Anche Giorgio appartiene ad una famiglia di generisti, infatti suo fratello Giovanni fu “buon pittore di marine e paesi” e la figliola Colomba brava nel realizzare “fiori e pescagione ed anche cose dolci, seccamenti, cose da cucina e sul finir dell’attività anche vedute di città in prospettiva”. A sua volta Colomba aveva sposato il pittore ornamentista Tommaso Castellano ed anche le sue figlie Ruffina, Apollonia e Bibiana furono avviate al disegno ed ai pennelli con un mediocre successo. Causa nella sua esegesi sulla natura morta napoletana del 1972 mostra di non conoscerlo, anche se una mezza figura di donna era comparsa sul giornale Les Arts del febbraio 1907 ed un suo quadro era registrato nel 1747 nell’inventario del principe di Scilla Guglielmo Ruffo. La ricostruzione della sua personalità è merito del Salerno, che nel 1984 ha pubblicato un suo dipinto di grosse dimensioni transitato sul mercato e firmato per esteso, raffigurante una Donna ed altre figure in un giardino(fig. 1) da collocare nell’ambito del decorativismo di ascendenza giordanesca. Nel 1990 presso la Finarte di Milano è stata aggiudicata una coppia di dipinti raffiguranti: Giardino di delizie con fontane, fiori, frutta e Giardino di delizie con fontane, fiori, frutta, uccelli e figure(fig. 2 - 3), che, per quanto non firmata, richiama a viva voce il quadro reso noto dal Salerno. Infine un’altra opera del Garri si trovava nella pinacoteca D’Errico ed oggi nel museo di Matera, si tratta di una Natura morta con cocomero, mele cotogne, uva e lazzeruoli con sfondo di paesaggio(fig. 4), firmata Giorgio Garri, che ci rivela come il pittore, si fosse orientato a seguire i modi pittorici di Giovan Battista Ruoppolo. Probabilmente la tela proviene dalla collezione del principe Ruffo, nel cui inventario redatto nel 1748 dopo la morte del nobile da Rogadeo di Torre di Torrequadra sono menzionate due tele del Garri, una delle quali risponde come soggetto a quella già D’Errico, anche se con misure diverse, a dimostrazione forse di una replica seriale dei dipinti più riusciti: “ due quadri compagni originali di Garri, uno rappresenta mezzo melone d’acqua e tre cotogni, azaroli rossi e bianchi et una pigna d’uva, l’altro quattro granati, mela et uva, colla cornice indorata di palmi 3 e 2 e mezzo”. “ Il sottile realismo con cui l’artista dipinge i frutti accuratamente ricercati, il modo di lumeggiare i viticci attorcigliati, toccati da una lieve brezza, le preziosità materiche ravvisabile nella cromia vibrante e soprattutto l’ambientazione all’aperto della scena, immersa in una luce densa e fonda”, ci permettono di apprezzare un pittore le cui opere andranno ricercate con più attenzione nel mare magnum delle tante nature morte di autore ignoto o sotto le più diverse attribuzioni. Infine molto interessanti le due Composizioni monumentali di frutta e fiori con figure(fig. 5 - 6) dell’antiquario Tornabuoni di Firenze. Esse presentano alcuni putti e prosperose fanciulle immersi nell’ atmosfera arcadica di un giardino patrizio con statue di gusto classico, fontane zampillanti e preziosi vasi baccellati coronati da vaporose ghirlande di fiori e frutti multicolori, mentre all’orizzonte si intravedono alti obelischi in una selva di cipressi. Avvicinate alla produzione di Aniello Ascione e ad uno specialista giordanesco per le figure, noi riteniamo, per palmari somiglianze con alcuni dipinti del Garri(fig. 2 - 3) di poter attribuire a quest’ultimo i due pendant, mentre per la discinta fanciulla e per i putti pensiamo al pennello di Paolo De Matteis o di un suo stretto collaboratore.
Bibliografia
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