Ischia: Il trionfo della mediocrità
Ma il cielo è sempre più blu ? E del potere schiacciante che questa esercita su chi mediocre non riesce ad essere Risale al 1° novembre scorso la tragica notizia del suicidio di Diego G., il ragazzo quattordicenne, studente del Liceo Classico G. Scotti, impiccatosi in un bosco vicino casa. Sconvolge, sempre e comunque, che un ragazzo possa togliersi la vita. Se possibile, sconvolge ancora di più sapere, per quanto le notizie allo stato attuale consentano di arguire, che il motivo alla base del suicidio sia stato una profonda depressione, provocata, sembra, da uno stato di reiterata discriminazione e conseguente isolamento sociale.
Due motivi estremamente seri, un peso troppo gravoso per le spalle di un ragazzino che aveva anche il “torto” di amare lo studio e di ottenere eccellenti risultati a scuola. Due motivi, tuttavia, di cui uno era la conseguenza dell’altro, e viceversa. Ma da dove aveva inizio questo terribile circolo vizioso che ha provocato un epilogo così drammatico? Certo, gli elementi noti sono pochi, ma nell’insieme dipingono un quadro dai contorni e soprattutto dai toni tipici del sadismo e della crudeltà: il quadro del bullismo. Come spesso accade in Italia, il bullismo è uno di quei problemi di ampia risonanza sociale che viene puntualmente sottovalutato. Forse solo chi ha vissuto sulla propria pelle esperienze legate alla discriminazione, quindi al bullismo, riesce a sentirne il terribile olezzo anche quando è latente o ancora in embrione. Se nell’età adulta la discriminazione di un gruppo verso il singolo trova la sua definizione nel termine inglese “mobbing” (che solo in parte traduce fedelmente il fenomeno, riferendosi al mondo animale, in cui determinate caratteristiche di cattiveria fine a se stessa non esistono), nell’età infantile e adolescenziale il termine di riferimento è, appunto, il bullismo. Poco o nulla fanno sia i mezzi di comunicazione che gli insegnanti per sensibilizzare i bambini, i ragazzi e i loro genitori ad una piaga che diventa purulenta molto ma molto più spesso di quanto si creda. Oggi anche questo triste fenomeno subisce peraltro l’esasperazione e la dilatazione di gran parte dei comportamenti sociali: tutto è portato alle estreme conseguenze, non esiste più equilibrio, limite, rispetto. Esiste solo la prevaricazione del singolo o del gruppo sulla vittima designata. Ancor più se la vittima ha dalla sua caratteristiche che suscitano l’invidia, quindi la rabbia, quindi la violenza da parte del bullo. Il quale cerca di esprimere in tutte le maniere, possibilmente quanto più violente possibile sul piano morale e/o fisico, il suo apparente disprezzo, senza rendersi conto che, così facendo, manifesta invece unicamente la sua attenzione patologica per la vittima designata. Ma, scavando ancora un po’ più a fondo nella devastata psicologia del bullo, un altro elemento emerge in tutta la sua potenza, e stavolta è un elemento molto caratteristico del “pensare italico”: possono l’intelligenza, la vivacità intellettuale, l’amore per lo studio e la conoscenza, la serietà e la volontà di migliorare se stessi, di arricchirsi culturalmente, o semplicemente la voglia di dare un senso alla propria vita, diventare veicolo, anzi causa di discriminazione? Una domanda, questa, che meriterebbe una sola risposta: NO. Invece, nella realtà odierna, sembra prendere sempre più piede l’ideologia della mediocrità, la celebrazione delle scarse capacità. Come dire, il “6 politico”. In altre società, a noi molto vicine geograficamente ma, temo, molto distanti dal punto di vista culturale, regna il legittimo desiderio di dare il meglio di sé, di crescere costantemente, di ambire all’eccellenza, con risultati a dir poco invidiabili sul piano sociale, economico, professionale e accademico. L’opposto di ciò che domina la nostra realtà: fatte salve poche eccezioni, per il resto si assiste in gran parte degli ambienti sociali (nell’accezione più ampia del termine: quindi dalla famiglia alla scuola, dall’università al mondo del lavoro, dai mass media alla politica) ad una tendenza verso il basso, a profili quantomeno insignificanti se non addirittura del tutto inadeguati. Come se l’unico modo per sentirsi rassicurati e sereni fosse quello di omologarsi in quello stagno grigiastro in cui tutti sono intercambiabili, tutti hanno gli stessi limiti, tutti agiscono allo stesso modo adottando le stesse scelte, esprimendosi allo stesso modo, alimentando il qualunquismo più becero e stando attenti a restare sempre tutti terribilmente uguali agli altri. Nell’ambito scolastico, un ragazzo che eccelleva con la media del 9 è stato bersaglio di tali e tante provocazioni, tranelli, ingiurie, ricatti e violenze, da precipitare in uno stato di solitudine (complice ideale della depressione), da cui la sua fragile psiche non è stata in grado di uscire, designandone la fine senza appello. Un ragazzo discriminato perché capace, intelligente, sensibile, che andava solo apprezzato e stimato, e invece è stato deriso, messo da parte, “ucciso”. Certo, ci sarà stato chi ha agito platealmente in modo negativo, chi è stato più subdolo, chi invece è stato “solo” indifferente, chi s’è dispiaciuto di certi vergognosi episodi ma non ha avuto la forza di esprimerlo, chi invece avrà manifestato solidarietà e questo magari sarà servito a rimandare il gesto estremo di Diego. Difficilissimo dirlo. Certo il magistrato sta esaminando alcuni bigliettini, sicuramente individuerà anche i responsabili degli stessi, si spera. Ma quel che manca è la presa di coscienza delle responsabilità sociali dietro all’episodio, che dovrebbero far prendere atto dei meccanismi che scattano quando domina la discriminazione, tanto nell’ambito scolastico, quando in quello professionale, dove, malgrado la presunta maggior maturità dovuta all’età adulta, la discriminazione colpisce duramente, come la letteratura sul mobbing troppo spesso conferma. Per essere accettati in un ambiente di lavoro sono infatti necessari i seguenti requisiti: raccomandazione, disponibilità al pettegolezzo, dimostrazione costante di grossi limiti culturali e operativi e spiccate capacità di ruffianeria. In mancanza di uno o tutti i requisiti citati, scatterà automaticamente il mobbing, tanto orizzontale quanto verticale, laddove il primo è perpetrato dai colleghi e il secondo dai superiori e/o dai datori di lavoro. Guai a mostrare competenze specifiche o idee innovative, guai a non mostrarsi preparati quando si parla del reality show di maggior successo o dell’ultima partita di Coppa, guai ad esprimere idee politiche o religiose non omologate dalla maggioranza dei signorotti del luogo, guai a ESSERE piuttosto che ad APPARIRE.
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