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ModenaNews - Cronaca
Scritto da Isabella Bertolini   
Sabato 13 Aprile 2013 13:56

Modena: Lady di ferro, la figlia del droghiere

L’Italia di oggi è quella che più di ogni altra avrebbe bisogno di una Margaret Thatcher, la figlia di un droghiere tanto convinta che fosse possibile costruire un capitalismo popolare da riuscirci. La Lady di ferro giunse al potere, all'inizio degli anni ’80 dello scorso secolo, in un’Inghilterra immersa in una crisi analoga alla quella che l’Italia sta vivendo: debito pubblico fuori controllo, spesa pubblica immane, bassa produttività e competitività calante, modello di welfare capace di incentivare la disoccupazione invece di contrastarla, sistema fiscale caotico e avido, burocrazia pubblica onerosa e fortemente sindacalizzata. Allora la Sterlina era in una situazione peggiore della Lira di vent'anni fa, o dei titoli di debito pubblico di molti Stati d’Europa.

La politica di privatizzazione, liberalizzazione, di ristrutturazione dell’apparato produttivo, di rivoluzione dello Stato britannico sono state descritte recentemente – con linguaggio scientifico da Lord Roy Hattersley – inspirate dal “principio dell’efficacia del mercato, come garanzia di efficienza concorrenziale e come metodo per determinare l’allocazione delle risorse e i modelli di remunerazione”.
Per Margaret Thatcher tutto questo non era frutto dello studio accademico, di qualche master a Chicago, ma della sua esperienza di figlia di un droghiere di Grantham, nel Lincolnshire. Suo padre era stato figlio di un ciabattino e, lavorando duramente, aveva migliorato la sua posizione sociale e il rispetto della sua comunità: riuscì infatti ad aprire due negozi, ad assumere cinque dipendenti, ad essere eletto consigliere comunale.
Nella sua autobiografia Margaret Thatcher scrive di aver appreso “da mio padre le basi per la mia filosofia economica: a lui piaceva collegare la crescita del nostro negozio all’angolo con il grande e complesso affresco del commercio internazionale che assumeva gente in tutto il mondo, per assicurare che una famiglia di Grantham potesse avere sulla sua tavola riso dall’India, caffè dal Kenya, zucchero dalle Indie Occidentali e spezie dai cinque continenti”. Nella sua vita si è formata così la convinzione che è immorale tassare chi lavora duro per passare sussidi ai fannulloni e che non è dalle rendite di posizione sindacali che si accresce il reddito delle persone, ma dal lavoro e dal merito individuali.
Scaffali di biblioteche contengono volumi che descrivono in dettaglio la storia e la politica di una donna che rappresenta ancora oggi un modello di leadership mondiale e che ha segnato un’epoca. Ciò che oggi, il giorno della sua morte, importa sottolineare è quale fosse l’elemento fondamentale della sua leadership. Essa è iscritta nella storia del partito conservatore, quando al congresso del 10 ottobre del 1980, Margaret Thatcher – giunta da un anno al governo e con un partito in subbuglio perché i primi effetti della cura antistatalista aggravarono la recessione (la ripresa arriverà solo nel 1982) – rispose duramente agli attacchi che le venivano dai laburisti e da parte dei conservatori che chiedevano un ritorno alla politica condotta in precedenza.
A loro e agli oppositori interni, Margaret Thatcher rispose con una frase secca: “La signora non torna indietro”. Con queste cinque parole, nel momento più duro della sua vita politica, Margaret Thatcher fece capire ai britannici, e al mondo intero, che la via intrapresa dal suo governo sarebbe stata condotta fino al conseguimento del risultato promesso. E così fu. Ed è di questo tipo di leadership che avremmo bisogno in Italia, non di capi partito tanto inflessibili sulle manovre tattiche, tanto elastici sui principi dichiarati. Soprattutto a destra ci chiediamo: esiste una figlia di un droghiere?
On. Avv. Isabella Bertolini